Silva Filosi
Prefazione a Come uno Scialle
Ho cominciato a leggere le poesie di Alberto nel maggio '89,
quando scrivevamo giudizi per la maturità: forse per reazione
inconscia alla prolissità del burocratese, sono nate come
epigrammi in inglese e in italiano, dediche occasionali di un
frammento, di un'immagine, offerte a colleghi e studenti, per
gioco. E ritrovarsi in quei versi lasciava, credo, a tutti la
stessa sensazione, quella di sentirsi piacevolmente scoperti in
uno dei propri segreti, o affettuosamente miniati in un gesto, un
sorriso, un battere di ciglia.
Poi ci fu la Guerra del Golfo, e un certo mattino degli strani
fogli cominciarono a tappezzare la sala insegnanti del Liceo
Rosmini. Non erano xenia garbati e scherzosi, ma canzoni di
guerra, che dell'ode avevano le dure sonorità, la lunghezza e la
concitazione. Qualcuno si scandalizzò, qualcuno disse che erano
le solite ragazzate, qualcuno lesse, e pensò. Alberto sentì di
aver colpito nel segno, e non si è più fermato. Da allora
quelle poesie crebbero e continuarono a fargli compagnia,
varcarono l'oceano in occasione del primo scambio con gli USA, si
intrecciarono alle sperimentazioni didattiche del prof. Sighele,
riemergendo periodicamente dal caos quotidiano della sua
cartella.
Ed eccolo qui, a questo primo approdo: noi che le nostre poesie
di gioventù le abbiamo seppellite in un cassetto, il coraggio di
Alberto non l'abbiamo avuto. Ma non è solo questione di
coraggio; ci vuole la pazienza, la fatica di chi vanga e rivanga
la terra aspettando le stagioni. Forse, da quando è diventato
contadino nel suo ritaglio di uliveto, Alberto ha finito di
scoprire i segreti del mestiere, e non ha disdegnato il lavoro
artigianale di chi, dopo aver scritto, modella, scompone,
rimescola, scava, pota, alleggerisce. Ecco forse perché lui è
arrivato a pubblicare.
E allora leggiamole, queste poesie, come per un gioco: per il
piacere di ritrovare, trasferito sulla carta, nella metrica e
nella rima, il tono di voce di un amico. E' una voce a tratti
sommessa e carezzevole, a tratti tagliente, ma sempre nitida,
inconfondibile.
La voce di uno che ama parlare e sentirsi parlare, che parla e
ripete, alla ricerca dell'eco. Perché c'è una bellezza anche
nella ridondanza, come segno di pienezza e di rigoglio, come
passione per la vita. Scrivere per chiamare e richiamarsi, per
non essere mai soli. Dialogo, mai monologo, la poesia di Alberto:
il suo corrispettivo geometrico potrebbe essere l'arco - sinuoso
e non concluso - o la parabola. La sua anima? Sicuramente
femminile, non solo per i volti e i nomi che si rincorrono in
queste pagine, ma, più in profondità, per l'attitudine a
cogliere il terrestre e l'umano, fin nelle più piccole cose. Lo
dimostrano anche le immagini che titolano le due raccolte: il
nido - rifugio, grembo e generazione, lo scialle - abbraccio e
seduzione.
Leggiamole allora, queste poesie, perché veramente per noi e con
noi sono state immaginate: perché ancora in noi, corpo e voce,
potessero risuonare. A tutti, e soprattutto ad Alberto, l'augurio
di gustare la bellezza di questo inizio.
Quando iniziai i miei studi, il primo passo tanto mi piacque,
Il semplice fatto della coscienza, queste forme, il potere di
muovermi,
Il minimo insetto o animale, i sensi, la vista, l'amore,
Il primo passo, ripeto, mi colmò di tanta gioia e stupore,
Che quasi non mi son mosso, né desidero procedere oltre,
Ma mi son fermato e m'attardo, per cantarlo in estatici canti.
Walt Whitman, Foglie d'erba, tr. di E. Giachino,
Einaudi 1993, p.14
Rovereto, febbraio '97
........................................................................Silva
Filosi
da "come uno scialle" a "oltre i tuoi fianchi"
Sono passati cinque anni dall'esordio di "come uno scialle", e Alberto Sighele è già alla sua quinta raccolta: nel febbraio 2002 Campanotto editore ha pubblicato in un elegante volumetto le sessanta poesie di "oltre i tuoi fianchi".
A chi come me è fra i più antichi lettori dei versi di Alberto viene spontaneo chiedersi: cosa c'è di nuovo?
Nei temi e gli argomenti, apparentemente niente. Ma questa è una scelta. Come ha scritto lucidamente Mario Cossali nella prefazione, "la poesia di Alberto Sighele oscilla con convinto e compiaciuto movimento tra suggestione erotica e impegno civile". (p.9)
Ma nelle forme e nelle prospettive, molto è cambiato: lo scoprirà chi voglia tentare il gioco di ritrovare le fonti dell'ultima raccolta in alcuni motivi-chiave della prima.
Si consideri, ad esempio, la geografia. Mari, spiagge, promontori, insenature, citta-porto sono fra i luoghi ricorrenti nella poesia di Alberto Sighele. In questi spazi aperti, si carica di suggestione la "basilica", zona di chiaro-scuro che si apre verso l'alto, intermedia tra la terra e il cielo. Ma quanta differenza fra i porti di Grado e Aquileia nella prima raccolta (cus, 16 e 23) e la raffigurazione di Otranto in "oltre i tuoi fianchi":
"Punto estremo Otranto
porto per ogni gente
porta per l'oriente
da cui è emerso il mostro del massacro
Era il 1480"
Quelli che erano semplici suggestioni estetizzanti ("sfumi nell'alabastro/ nel rosone ridi e poi sparisci.." cus, p.16), raffinati tocchi d'atmosfera ("attraverso gli assiti e le tegole/ vedi i pesci e le stelle" cus, p. 23) sono diventati in "Otranto" un affresco potente, dove si mescolano la storia e l'attualità:
"le case bianche specchiano un mare chiaro
e la calce ha cancellato quello schizzo
di sangue rimasto nei gerani
ora disinfetta la ferita
e alla foce dell'Idro rifluisce la vita
tra bambini e bagnanti in flutti più morbidi"
Nella poesia "le due chiese", poi, sempre ambientata a Otranto, sembra che l'architettura stessa si animi, per raccontare la sua storia e le sue molte anime:
"La Cattedrale di Otranto
è cosmopolita
perché sostiene la cripta su colonne di dita
di mani e stili diversi
con capitelli da collezione architettonica
dal lungo e il largo del Mediterraneo
dal sole di Costantinopoli
a quello di Cordova in questo sotterraneo
in questa falda tettonica
leggera di marmi"
Fra le liriche politiche, in un medesimo slancio a difesa dei popoli vittime della violenza, si potrebbero ancora confrontare la linearità di "Eufrate", la sequenza cadenzata delle sue anafore: ("basteranno i venti/ basterà la primavera/ a lavare il suolo e il cuore?" - cus p. 28) con il dinamismo e il ritmo della poesia dedicata ai Curdi in "oltre i tuoi fianchi":
"delfini dal mare fuggiti al terrore
delle teste tagliate dai turchi
i Curdi con il cuore tra i denti
sono pirati per forza
nella scia della barca d'Italia
con occhi dolci ci dicono
siamo umani anche noi
anneghiamo
se ci uccidono torturano
ci tagliano dai quattro paesi
nei sotterranei d'Europa
difendiamo identità e ricordo
dalle vostre città fino a Roma
Ocalan è solo uno dei nostri
né noi siamo dei mostri
eravate un impero
non buttateci in bocca
alla pena di morte ai leoni"
E' un linguaggio altamente poetico, sia per la sonorità e la ricercatezza metrica, sia per la ricchezza di più campi semantici sovrapposti.
Seguendo questo nuovo approccio cognitivo, più profondo, più problematico, anche gli oggetti che in "come uno scialle" significavano l'amore (cus p. 69 " ti butti sul mio fianco/ come coperta,/[…]anch'io vorrei essere,/non lontano dal cuore/ una cintura sui tuoi fianchi"), assumono ora, con decisione, la consistenza della materia stessa:
"Sono l'argilla cui tu dai forma
con il tuo corpo
senza di te
io sono informe e morto
come ti adagi su di me capisco
sono la tua argilla viva
e ti guarisco
d'ogni tua infermità
porto quel che tu porti
senza l'un l'altro
senza più intimità
saremmo entrambi morti"
Pur mantenendo la paratassi della prima raccolta, in una calcolata sequenza di enjambements e assonanze, qui la scrittura diventa veramente duttile come creta che si lascia plasmare in forme sinuose e sensuali.
Nel "post scriptum", infine, un'altra novità da segnalare: il lessico di Alberto Sighele si arricchisce di suggestioni evangeliche e riesce a coniugare gli slogan più attuali, le formule del giornalismo e della propaganda politica con le immagini più note e più care alla Chiesa delle origini, in una ballata che è davvero… popolare, come conferma il suo ritornello:
"…che il futuro è di tutti
non solo dei ricchi" (p.112)
Che sia il preludio di una nuova raccolta?
Agosto 2002-08-05
Silva Filosi