3 'Vorrei saltarti al bollo'
la pittura fonetica di Alberto Sighele
di
Donata Zoe Zerbinati
«Dalla scrittura che rappresenta la lingua nasce come solo effetto iconico la linea retta e continua», afferma conciso l’abate Pozzi . «Il fantasma del rigo nero che attraversa il bianco del foglio si è installato così profondamente nella coscienza delle nostre culture alfabetizzate, da farci apparire la lingua come […] una linea di suono che attraversa il silenzio», aggiunge.
Premesse lapidarie alla sua magistrale trattazione sui carmi figurati, entità composte da un messaggio linguistico e da una formazione iconica; essi precedono i posteriori cimenti della parola che collabora artisticamente con l’immagine.
Le parole scritte nella storia dell’uomo sono servite anche per comporre configurazioni, dai tecnopaegnia della poesia ellenistica e della poesia figurata medioevale, alla coda del topo nell’Alice di
Carroll, ai calligrammi di Apollinaire e alla poesia concreta del Novecento: una «camera delle meraviglie» della lingua usata come figura.
Ma spesso, nell’abbraccio di parola e immagine, il fruitore sperimenta piacere e fastidio: lo conquista da subito la promessa di ricchezza, lo infastidisce l’incerta ed aspra lettura.
Leggere poesia visiva implica infatti unire due atti di percezione distinti, lettura e osservazione, e questi atti si ostacolano l’un l’altro; la lettura, in particolare, risulta difficile perché occorre leggere in più direzioni.
L’osservatore è costretto a muovere il supporto o a piegare la testa; spesso deve riconnettere degli spezzoni per ricostruire un percorso di senso. E’ una fruizione molto attiva, quella che si richiede; e non tutti vi sono ben disposti.
Le avanguardie poetiche hanno permesso a chi lo voglia di spargere i suoi versi o le sue prose o le sue terze cose per tutto il foglio, spalmati su forme eccentriche o banali, palesi od occulte. Il genere è stato tanto praticato che poco di nuovo si può pensare di aggiungere. Eppure sempre fresche declinazioni può avere la parola dipinta.
Ad esempio, si possono rovesciare i termini: non la parola che si torce in disegno, ma la parola che disegna se stessa. Più specificamente: la lettera dell’alfabeto, la sua struttura grafica.
Il «groviglio di suoni» che è la parola si scompone in disegno: «…quanto disegno c’è nascosto nella scrittura, quante visioni nascono dal pensare alle lettere…» .
Notiamo che tra autore e artista c’è una sottile ma percepibile differenza. Sighele è autore prima che artista: «Ora lo ammetto subito. Nei miei disegni prima c’era la scrittura e poi è venuto il disegno, che vuole essere tale, cioè rispondere a parametri visivi, ma deve mantenere tutta l’integrità della lingua, i suoi acuti, il suo ritmo» .
La doppia t della via lattea - in quella delle opere che incontra maggiormente il mio gusto - si alza in rosso, bianco e grigio, quasi un riflesso, dal vetro di una finestra illuminata di sbieco. Versi pieni di negazioni irrompono come raggi di luce oscura e disgregano nel pulviscolo sospeso dell’ultimo non.
La grafia dell’autore giganteggia o si allinea. Calli-grafia, bella scrittura, fatta per essere letta.
Una grafia che presenta un chiasmo di qualità evidenti: è leggera/ pesante, piccola/grande. Le quattro variabili spesso giocate contemporaneamente a evidenziare, a suggerire. A sovrapporsi con cortocircuiti del tratto.
Un’etichetta postale con indirizzo dell’autore fa da sfondo non silenzioso per un’amorevole messaggio:
ad ogni cartolina vorrei esserti/il bollo/rimanere tra i tuoi seni/saltarti al collo/, una collana, un tatuaggio…
Dove le scritture di bollo e collo si incontrano e sovrappongono con tale libidine che risulta non incongruo il saltare al bollo dell’amata. Dove la collana e il tatuaggio sono accennati in sottovoce visivo, annidato nella curva bassa che lega le due elle. La grafia è esuberante, discontinua, immediata.
Disciplinata grafia nello sbieco del bieco Tiranno, maiuscolato nella T a stampa,
circondato dalle file armate delle parole pronte a un suo cenno, o alla rivolta. Una pianura ocra, una montagna viola.
Leggera e volante grafia nelle grandi doppie effe dei baffi del gatto,
delle ali delle farfalle.
Raffinata grafia del tavolo che sostiene se stesso con l’asta della t,
della lampada sfumata col testo contenuto come luce nel globo della a, onomatopee e assonanze riverberano dalla forma.
Il lògos che si fa immagine si riscatta dal logo onnipresente e meccanico, in questa iconografia di origine alfabetica.
Sighele ci rammenta che la lingua scritta è innanzitutto un’immagine e che i bambini, quando vedono la O come un sole e la A come una casetta, non sbagliano.